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Per il Sud sarà solo una Fase 1 profonda, forse irreversibile. E questo proprio non possiamo permetterlo

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La prima, vera, timida ripartenza sarà solo al nord. Proprio lì dove hanno dimostrato di essere più riottosi alle regole anti contagio. Perché?

Che senso ha riaprire i mercati all’ingrosso e la grande distribuzione se poi non è possibile fare la vendita al dettaglio? Che senso ha riaprire le fabbriche automobilistiche e della componentistica se poi le concessionarie rimangono chiuse? Una risposta a questo probabilmente c’è ma che ieri è stata omessa, in parte, dal presidente Conte durante la sua conferenza stampa delle 20.20: l’Italia si mette a produrre per l’Europa. A partire da oggi, infatti, e poi dal 4 maggio in poi, chi ritorna davvero a pieno regime a produrre sono tutte quelle aziende (la stragrande maggioranza al nord) il cui prodotto è necessario a far muovere il motore europeo. Cosa resta all’Italia? Una fase 2 che per gli italiani e principalmente per gli italiani del sud, a conti fatti, non è altro che una Fase 1 profonda che potrebbe diventare irreversibile. E non tanto per le mascherine ed il distanziamento sociale (quella è un’abitudine con la quale dovremo convivere normalmente e per lungo tempo, insieme al virus) ma perché, di fatto, in Calabria ancora non apre nulla. La piccola economia, quella che rappresenta la sussistenza per tantissime famiglie, continuerà a rimanere con le saracinesche abbassate. Con il paradosso finale che pur essendo stato il Sud più bravo ad arginare il virus sarà costretto a patire le conseguenze più nefaste dell’emergenza nazionale, che ha interessato principalmente le aree del settentrione. Se a tutto questo si aggiunge una congiuntura politica e gestionale dell’emergenza che ha sostanzialmente congelato democrazia e decisioni condivise, il quadro si fa ancora più complicato, per non dire allarmante. Il dramma reale è che in Calabria si vive, per metà, di servizi e di tutto quell’apparato di negozi, botteghe, artigianato, di turismo, di piccola industria che oggi continua a rimanere chiuso. Non sappiamo se le autorità sanitarie ci stiano dicendo la verità. Una cosa, però, è certa: questo maledetto virus che ha messo in ginocchio il mondo qui circola ma non galoppa. È forte ma meno invincibile che in altre parti d’Italia e del globo. Perché continuare a far camminare, proprio ora, con un unico e uguale sistema un’Italia che è sempre andata a due velocità? Non me ne vogliano quelli che dicono che serve ancora prudenza – lo credo anche io – ma credere che un altro mese in queste condizioni possa risolvere il problema probabilmente è follia. Gli esperti ci dicono che il virus si debellerà con il vaccino, altri che scomparirà con il caldo. In qualunque delle due ipotesi noi non possiamo fare altro che tenerlo a distanza. Abbiamo dimostrato di saperlo fare. Perché quando al nord, in piena emergenza, si facevano ancora aperitivi, ci si ammassava sui mezzi pubblici e si usciva senza mascherina, qui al sud eravamo già chiusi in casa aspettando le 18 per uscire sul balcone a cantare l’inno nazionale. Siamo stati più fessi? Forse più previdenti e consapevoli che rimanere a casa per troppo tempo avrebbe significato mettere la pietra tombale su un’economia già di per sé fragilissima. Ci hanno messo paura, abbiamo avuto e abbiamo ancora la paura che questo virus ci distrugga. Ed è proprio la paura di doverlo combattere da soli questo terribile nemico oscuro – senza sanità e senza assistenza – che rimane la nostra forza. Per noi meridionali la ripartenza non significherà comunque liberi tutti e libertinaggio, noi terroni continueremo – forse meglio degli altri – ad usare precauzioni perché la nostra storia recente, purtroppo, non ci ha insegnati a poter avere una doppia chance. Ed ecco perché, forse, abbiamo più diritto degli altri, adesso, di ritornare a vivere, di ritornare alla nostra strana normalità. Con le dovute precauzioni, abbiamo il diritto di ripartire seguendo una strada maestra. Per noi, riaprire il 4 maggio sarebbe già tardi, il 18 non ne parliamo. L’1 giugno? Significherebbe avere una marea di persone (giovani per lo più), disoccupati, depressi e senza futuro. È una responsabilità grave, gravissima che non possiamo permetterci. Giugno da noi è già estate.  Le nostre estati, quelle calabresi, non sono come quelle dell’Emilia Romagna, di Porto Cervo e Saint Tropez. Purtroppo non sono nemmeno come quelle del vicino Salento. Noi d’estate viviamo normalmente di stenti. Figuratevi cosa significherà vivere di stenti e paralisi… significherà morire. E, ripeto, non ce lo possiamo permettere. . Marco Lefosse
Redazione Eco dello Jonio
Autore: Redazione Eco dello Jonio

Ecodellojonio.it è un giornale on-line calabrese con sede a Corigliano-Rossano (Cs) appartenente al Gruppo editoriale Jonico e diretto da Marco Lefosse. La testata trova la sua genesi nel 2014 e nasce come settimanale free press. Negli anni a seguire muta spirito e carattere. L’Eco diventa più dinamico, si attesta come web journal, rimanendo ad oggi il punto di riferimento per le notizie della Sibaritide-Pollino.