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Il Modello del Governo Conte è una favola solo italiana

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Covid-19, serve un antivirus contro tutte le emergenze per smettere di cercare di raccogliere #ilbrodoconlaforchetta! Continua la campagna di comunicazione promossa da Otto Torri sullo Jonio per una corretta selezione delle fonti di informazione in piena emergenza. Oggi il contributo di LINKIESTA.IT con l'articolo di Lidia Baratta (clicca qui)

Sui media esteri, quando si deve parlare di un Paese che ha fatto e sta facendo le cose per bene, il nome Italia non si trova. Anche della versione del premier capofila del Recovery Fund europeo non c’è traccia

 «Ci stanno guardando dall’Europa e dal mondo per i decreti che abbiamo approvato, ci stanno già chiedendo una copia di questo decreto. Anche nella ripresa l’Italia è ammirata», ha ripetuto il presidente del Consiglio Giuseppe Conte nell’ultima conferenza stampa, prima di annunciare poco o nulla sulla tanto attesa ripartenza del 4 maggio. La storia del «modello italiano» nella lotta sanitaria prima, ed economica poi, al coronavirus è partita dall’inizio della pandemia. Mentre i morti crescevano, tutto il parterre anti-Covid del governo ha continuato a parlare di «modello Italia».

Lo hanno ripetuto Silvio Brusaferro, presidente dell’Istituto superiore di sanità, Walter Ricciardi, consulente del ministro della Salute, e pure lo stesso Roberto Speranza. «I colleghi europei mi chiedono informazioni», spiegava il premier nelle sue interviste. Fino a prendersi persino il merito del Recovery Fund approvato nell’ultimo consiglio europeo.

Ma il «modello italia», se si guardano i giornali stranieri, sembra solo una favola che ci stiamo raccontando tra le quattro mura di casa nostra. Nelle pagine dei media esteri, quando si deve parlare di un Paese che ha fatto e sta facendo le cose per bene, il nome Italia non si trova.

Il New York Times racconta che la Germania, non l’Italia, è stata «la prima democrazia occidentale ad aver contenuto la diffusione del coronavirus e ora è la prima a riaprire la sua economia» grazie ai test random per gli anticorpi tra la popolazione.

Al modello italiano, Berlino ha preferito nettamente quello sudcoreano. L’Italia non ha fatto altro che ripetere di «restate a casa», scrive ancora il New York Times, senza considerare che le case stesse potessero diventare focolai: «Non è stato messo in atto un chiaro sforzo nazionale per impedire alle persone contagiate di infettare le loro famiglie».

 L’Italia, piuttosto, viene citata come il Paese da cui imparare cosa «non» bisogna fare.

Un reportage della Associated Press racconta la «tempesta perfetta» esplosa in Lombardia, e come l’Italia si sia fatta trovare impreparata dall’arrivo della pandemia. «Mentre l’Italia si prepara a riemergere dal più intenso lockdown, è sempre più chiaro che qualcosa è andato storto», scrivono.

L’Opinion ha pubblicato uno studio del Deep Knowledge Group sull’efficienza di risposta al Covid-19, in cui l’Italia risulta al 32esimo posto su 33 in Europa.

E mentre i morti da noi continuavano a crescere spaventosamente, la Harvard Business Review ha subito stilato uno studio dal titolo “Lezioni dalla risposta italiana al coronavirus”, con l’obiettivo di «aiutare gli Stati Uniti e i politici europei a non ripetere gli stessi errori fatti in Italia».

Le stesse misure del lockdown “alla cinese”, di cui secondo Conte non si faceva altro che parlare tra i colleghi europei, alla fine non ce le ha copiate nessuno.

In quasi tutti gli altri Paesi europei non sono state chiuse tutte le attività produttive, ma solo alcune. Il divieto di passeggiata e jogging, come è stato imposto in Italia, non si ritrova da nessuna parte. Di autocertificazioni se ne trovano ben poche in giro per l’Europa, e perlopiù digitali, come in Francia.

Anche la storia del Recovery Fund europeo, che Conte vende come una sua idea, non è andata proprio così. Il Financial Times sottolinea i meriti del governo spagnolo per aver proposto il piano, «la migliore idea tra le tante proposte». Alla quale si è accodata subito la Francia, poi l’Italia, che invece inizialmente continuava a insistere in lungo e in largo sugli eurobond. Eppure Conte la racconta così: «Siamo riusciti a far convergere tutti gli Stati membri verso una soluzione del tutto innovativa, che sembrava impensabile solo poche settimane fa». E per annunciarlo urbi et orbi ha organizzato pure la famosa conferenza stampa di 43 secondi, senza giornalisti e domande. Di questa versione, ovviamente, non si trova traccia sui giornali stranieri.

Ed è arduo dire che «tutti ci imitano» anche nella fase di ripartenza. Cnbc scrive che «non c’è una idea chiara su quando l’economia italiana riaprirà pienamente». Un servizio della Nbc che «l’Italia potrebbe non essere un modello convincente per altri Paesi». E il Washington Post è scettico sul funzionamento della app di contact tracing.

Basta guardare il «modello italiano» sulla scuola. Nessuno ci viene dietro. In Germania riapriranno gradualmente il 4 maggio. In Francia, Svizzera e Olanda l’11. Noi, se va bene, a settembre. Ora, dice Conte, ci stanno già chiedendo copie dei decreti per la ripresa economica. Ma anche in questo caso, non si trovano prove.

Anzi. In vista della riapertura del 4 maggio, Reuters racconta la corsa a ostacoli delle imprese italiane, tra scartoffie e lentezze, per accedere ai prestiti del decreto liquidità garantiti dallo Stato: «L’Italia vuole riaprire. Gli imprenditori chiedono: Dov’è il denaro?», è il titolo del reportage.

Le testate straniere hanno raccontato sì il bonus dei 600 euro italiano, ma in occasione del crash del sito dell’Inps e del fantomatico attacco hacker, poi smentito dallo stesso presidente Pasquale Tridico: non proprio un modello da esportare oltre confine.

E mentre da noi per l’erogazione del bonus da 600 euro abbiamo aspettato un mese, con tanto tanto di data breach, in Germania i 5mila euro richiesti una semplice e lineare domanda online sono arrivati nel giro di un weekend.

Redazione Eco dello Jonio
Autore: Redazione Eco dello Jonio

Ecodellojonio.it è un giornale on-line calabrese con sede a Corigliano-Rossano (Cs) appartenente al Gruppo editoriale Jonico e diretto da Marco Lefosse. La testata trova la sua genesi nel 2014 e nasce come settimanale free press. Negli anni a seguire muta spirito e carattere. L’Eco diventa più dinamico, si attesta come web journal, rimanendo ad oggi il punto di riferimento per le notizie della Sibaritide-Pollino.