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Emergenza Covid, fase 2 anche in Calabria: «Ripartire sì, ma con le dovute precauzioni»

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Il presidente di Confindustria Cosenza, Fortunato Amarelli, traccia la linea. E sulle misure del Governo: «Sono idonee ma non esaustive»  

Il mondo delle imprese chiede un calendario per la ripresa delle attività. A rischio c’è la sopravvivenza delle aziende e gli stipendi dei dipendenti del prossimo mese. Il governo è il destinatario del messaggio che Confindustria di Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte e Veneto hanno sottoscritto per la riapertura delle imprese e la difesa dei luoghi di lavoro. La priorità resta la sicurezza all’interno di fabbriche e uffici durante l’emergenza sanitaria, ma se le quattro principali regioni del Nord, rappresentative del 45% del Pil italiano, non ripartiranno nel «breve periodo il Paese rischia di spegnere definitivamente il proprio motore e ogni giorno che passa rappresenta un rischio in più». Questo al Nord. Ma c’è tutta un’altra parte di area produttiva italiana che attende un input dal governo sul da farsi. E tra queste c’è tutta l’industria del Turismo, praticamente immobile da oltre un mese, e la piccola media impresa del meridione, che produce altrettanto Pil delle grandi industrie del settentrione. Cosa fare, come muoversi, ma soprattutto come camminare in quel campo minato che è un’emergenza sanitaria, tra l’altro contro un nemico invisibile. «Le misure adottare la governo sono idonee ma sono esaustive» Ne abbiamo parlato con il presidente di Confindustria Cosenza, Fortunato Amarelli. Che ha tracciato la linea degli industriali cosentini sia rispetto alle misure di sostegno previste dal governo con il decreto liquidità (che stanzia ben 400 miliardi di euro) sia su quella che è la prospettiva di riapertura delle attività produttive. «In questo momento le misure adottare la governo sono idonee ma sono esaustive». Questa la chiosa di Amarelli che aggiunge un’analisi cristallina: «Quello che è stato messo fino ad ora in campo – dice - è soltanto una prima parte di tutta l’operazione che dovrà essere fatta da qui e per i prossimi mesi. D’altronde in questo momento il Governo sta chiedendo all’Europa i coronabond o altri strumenti proprio perché è evidente che non ha tutte le risorse per poter fronteggiare l’emergenza. È evidente che c’è bisogno di iniettare nuova liquidità». E infatti, la contingenza attuale dice proprio che la più grande difficoltà è quella della mancanza di liquidità, perché se non si produce, è ovvio, girano meno soldi. «Un’emergenza di liquidità – aggiunge il numero uno di Confindustria Cosenza - che colpisce sia il mondo dei professionisti, quello dei lavoratori autonomi, delle partite iva e di tutti coloro che praticamente non hanno uno stipendio. Ma è anche un problema per i piccoli commercianti che sono quelli più colpiti in questo momento perché sono quelli che hanno chiuso dall’oggi al domani; ed è un problema – infine - per tutta la filiera che ne viene di conseguenza: la produzione e i servizi». E questo è un primo “scalino” da affrontare, non di poco conto. Poi c’è un altro problema, che investe principalmente le regioni del Sud e non meno la provincia di Cosenza. È il mercato, anzi l’industria del turismo. «Infatti – precisa, ancora, l’amministratore delegato della fabbrica di Liquirizia Amarelli, famosa in tutto il mondo ed orgoglio di Corigliano-Rossano - mentre una buona parte dell’impresa italiana ripartirà, ci sarà una parte che non partirà nemmeno questa estate e che quindi rischia di perdere quote di fatturato estremamente alte. Tant’è che se ci sono settori che perderanno dal 10 al 20% di fatturato, ce ne sono altri che hanno perso già il 70% del fatturato annuo. Quindi – sottolinea Amarelli - anche su questo bisognerà commisurare gli interventi di sostegno» proporzionate, dunque, alle perdite che farà registrare il settore turistico. E questo perché «per ripartire dobbiamo coprire sempre l’anello più debole della catena». «Certo – aggiunge - le misure varate dal governo, oggi danno la possibilità a chi non ha liquidità in questo momento di tamponare gli arretrati, pagare fornitori o gli assegni scoperti. Ed è una misura adeguata anche per la piccola e media impresa, che paga le tasse, che paga i contributi, che paga i fornitori e ne può trarre beneficio. È ovvio che se si sblocca questo sistema dei pagamenti, l’intero impianto economico riparte». Bene, ma ora che si fa? Ripartiamo tutti insieme? Ed in nome della necessità economica facciamo finta che non sia successo nulla? «Assolutamente no» scandisce con forza il presidente degli industriali cosentino, aggiungendo: «In questo momento riaprire tutte le aziende in modo indiscriminato (per quanto per alcuni sarebbe auspicabile per l’interesse delle aziende che sono chiuse già da un mese, che fanno fatica e vogliono ritornare a produrre, che hanno delle commesse in sospeso) senza precauzione significherebbe davvero non far finire mai più questa emergenza». «Togliere allo Stato, gradualmente, il peso di pagare 10 milioni di stipendi a chi oggi si trova a casa»  E allora, che fare? Amarelli disegna un grafico chiaro ed inequivocabile: «In questo momento – dice - ci sono oltre 10 milioni di italiani che sono in cassa integrazione. Questo significa dieci milioni di stipendi da pagare per lo Stato. Sono cifre incredibili. È ovvio, quindi, che prima parte l’economia (quella che è più capace di gestire l’emergenza, di rispettare le normative di distanziamento che ha la possibilità di fornire presidi di sicurezza ai propri dipendenti) prima riusciamo, attraverso operazioni chirurgiche, a riattivare una parte della produzione, più facciamo risparmiare risorse allo Stato». Risorse, queste, che potrebbero essere investite su altri fronti dell’emergenza. «Sicuramente – conclude Fortunato Amarelli - l’appello di una gran parte delle imprese italiane, anche importanti, a ricominciare è giusta ma tutto dovrà avvenire con le dovute precauzioni». Marco Lefosse  
Redazione Eco dello Jonio
Autore: Redazione Eco dello Jonio

Ecodellojonio.it è un giornale on-line calabrese con sede a Corigliano-Rossano (Cs) appartenente al Gruppo editoriale Jonico e diretto da Marco Lefosse. La testata trova la sua genesi nel 2014 e nasce come settimanale free press. Negli anni a seguire muta spirito e carattere. L’Eco diventa più dinamico, si attesta come web journal, rimanendo ad oggi il punto di riferimento per le notizie della Sibaritide-Pollino.