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Il Coronavirus ha aperto una nuova "lotta di classe" tra stipendiati statali e autonomi

3 minuti di lettura
L’uomo è un animale sociale in quanto tende ad aggregarsi con altri individui e a costituirsi in società”. Lo scriveva nella sua “Politica” il filosofo Aristotele, suppergiù 2300 anni fa. È una premessa perché questo pensiero, probabilmente, farà incazzare molti ma troverà sicuramente consenso – seppur tacito perché antipopolare - di altrettanti. La premessa aristotelica sembra quasi una cosa scontata ma è fortissima se oggi si vuole capire il concetto della deriva – causa il coronavirus e non solo – verso la quale sta andando la nostra società. Uscire all'aria aperta non è un vezzo ma, per gli uomini, una necessità. E questo viene prima della disoccupazione, prima del quadro economico (allarmante), prima di qualsiasi altra cosa. Non siamo animali da letargo che riescono a stare dormienti per mesi. Il nostro cervello, il nostro fisico è strutturato e si è sviluppato per essere libero. Ma pur essendo questo il punto di partenza, imprescindibile, non è questo il problema. Il vero dramma, che è stato portato o forse sarebbe meglio dire che è stato acuito dall’emergenza coronavirus, è la contrapposizione sociale, non più tra poveri e ricchi ma tra stipendiati statali e autonomi. Insomma, siamo passati dalla lotta di classe allo scontro generazionale e siamo arrivati in fondo ad un buco dal quale è difficile che usciremo tutti indenni. Soprattutto se le cose continueranno ad andare così. La vera questione, infatti, non gira attorno al dibattito sociale e scientifico su quando sia giusto ripartire o per quanto bisogna rimanere chiusi in tempo di coronavirus. Prendiamo ad esempio la Calabria, prendiamo ad esempio Corigliano-Rossano, una delle città più grandi ed importanti della nostra regione che fonda la sua economia su quattro asset: il settore impiegatizio pubblico (uffici di vario genere, scuole, sistema di servizi); l’assistenzialismo; il mercato dei servizi (negozi, botteghe artigiane, ristorazione, turismo); la piccola media-impresa.  Alle nostre latitudini, il vero nodo sul quale si sta arrovellando e infiammando il dibattito è la necessità individuale che ognuno cerca di far calzare a pennello sull’emergenza covid-19. E quindi abbiamo, da una parte chi gode di uno stipendio, di una indennità, una pensione o un sussidio statale certo e sicuro, che marca forte la linea della prudenza e del lockdown prolungato (fosse per alcuni anche a vita, tanto lo stipendio lo incassano lo stesso, pur senza fare nulla). Dall’altra, invece, tutta quella schiera di partite Iva, dipendenti dell’indotto dei servizi (ristoratori, negozianti, operatori turistici), imprenditori pronti a riaprire, ovviamente senza salti nel vuoto. Certo è che la chiusura ad oltranza anche nella “fase due” (che come scrivevamo qualche giorno fa al Sud, in Calabria e a Corigliano-Rossano sarà una “fase uno” profonda forse irreversibile) se può star bene ad alcuni, per altri è lo spettro del fallimento e della fame. Soprattutto per molti giovani.

Ma la Santelli ha davvero torto?

«Nessuno vuole riaprire come se nulla fosse successo». Lo ha ribadito proprio ieri sera la presidente della Regione Jole Santelli, che due giorni fa ha firmato una discussissima ordinanza (leggi anche Covid19, Ordinanza coraggiosa della Santelli: bar aperti con servizio all’aperto), intervenendo a Matrix su Canale 5 in seconda serata, e aggiungendo poi che «la riapertura graduale, con tutte le norme di igiene e sicurezza, in Calabria è una cosa possibile già da subito». Certamente. Perché quel maledetto virus da noi ha attecchito, ha contagiato, ha fatto vittime ma per fortuna non ha galoppato. E qui si potrebbe aprire un trattato scientifico su come avviene il contagio ma forse sarebbe meglio che ognuno si faccia una buona, sana e oggettiva lettura degli studi fatti a riguardo, magari evitando di ascoltare la campana dei soliti “soloni del nulla” che impazzano sui social. Ha fatto discutere la Santelli con la sua ordinanza e ha anche indignato il Governo che in queste ore sta preparando una diffida per la Presidente della Regione Calabria. Forse sono stati sbagliati i tempi. Probabilmente. In molti, evidentemente, hanno pensato che il contagio possa avvenire solo seduti al tavolo di un bar, su una piazza o un corso, in un’assolata giornata di primavera. Diversamente, però, non ha fatto scalpore la folla sul lungomare Caracciolo di Napoli, appena tre giorni fa. Una passeggiata all’ombra del Vesuvio, al tramonto, con la salsedine che ti entra nei polmoni, in una delle città più belle del mondo, in tempo di coronavirus è un peccato veniale. Nessuno ha detto nulla e chi ha detto ha solo bisbigliato. Perché la faccia mediatica della Campania è un governatore che continua a dire in mondovisione e a reti unificate di voler utilizzare i lanciafiamme a chi non rispetta il lockdown. Vai a sapere, però, che la realtà è tutt’altra cosa. Ma a questo punto viene da chiedersi: che differenza passa tra una passeggiata in compagnia sul lungomare di Napoli e un caffè su corso Mazzini a Cosenza? E poi, siamo davvero sicuri che il pericolo di contrarre il virus si annidi nelle “esigenze” dell’animale sociale e non nelle sue cattive abitudini (aggiungerei igieniche)? Marco Lefosse
Redazione Eco dello Jonio
Autore: Redazione Eco dello Jonio

Ecodellojonio.it è un giornale on-line calabrese con sede a Corigliano-Rossano (Cs) appartenente al Gruppo editoriale Jonico e diretto da Marco Lefosse. La testata trova la sua genesi nel 2014 e nasce come settimanale free press. Negli anni a seguire muta spirito e carattere. L’Eco diventa più dinamico, si attesta come web journal, rimanendo ad oggi il punto di riferimento per le notizie della Sibaritide-Pollino.